LEZIONI URBINATI
Quattro lezioni magistrali
Prof. Mario Lavagetto
ordinario di Teoria della letteratura
Università di Bologna
«Con questo titolo, ricavato da un famoso saggio di Virginia Woolf, voglio occuparmi di alcuni dei grandi momenti di crisi che segnano l’inizio del XX secolo e che, nella storia del romanzo, istituiscono una cesura radicale, percepibile nell’organizzazione del racconto, del tempo narrativo, nella fisionomia dei narratori e in quella dei personaggi. È il momento in cui, per usare le parole di Musil, sembra che tutto stia per diventare o sia già diventato “non narrativo e non segua più un ‘filo’ ma si allarghi in una superficie sterminata”. Le vecchie attrezzature sono divenute inservibili e le tensioni, i rivolgimenti, le fratture di un universo che si va rapidamente modificando si riflettono nel corpo di un genere ibrido e onnivoro, soggetto – nel giro di vent’anni – a una profonda metabolizzazione di forme e di temi.»
Palazzo Ducale
Sala Convegni della Serra d’Inverno
14 ottobre 2004, ore 17,30
Saluto del Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi di Urbino “Carlo Bo”,
Presidente della Fondazione Carlo e Marise Bo
Prof. Giovanni Bogliolo
Saluto del Direttore del Comitato scientifico
della Fondazione Carlo e Marise Bo
Dott. Vittorio Bo
Prof. Mario Lavagetto
Il tramonto del naturalismo
Quando, nel 1891, Jules Huret conduce la sua inchiesta sullo stato di salute del naturalismo, la maggior parte degli intervistati risponde che si tratta di una stagione ormai chiusa definitivamente, di un modo di costruire il romanzo e, ancora prima, di leggere la realtà che è divenuto per sempre impossibile. “Il naturalismo – dice per tutti Huysmans – è finito… Era un vicolo cieco, un tunnel chiuso”. Forse, a quella data la dichiarazione di morte è ancora prematura, ma quel che è certo è che una grande epoca della narrativa occidentale si sta chiudendo e che il romanzo, per sopravvivere, dovrà reinventarsi come forma e, nello stesso tempo, come strumento di conoscenza.
venerdì 15 ottobre 2004, ore 11
L’io moltiplicato
“I poeti, ha osservato una volta Lacan, spesso non sanno quello che dicono, ma lo dicono prima degli altri.” Con queste parole voleva celebrare il valore profetico della formula elaborata da Rimbaud in una lettera indirizzata a Izambard il 13 maggio 1871: Je est un autre. La grande rivoluzione freudiana di trent’anni dopo veniva in tal modo anticipata in modo folgorante. E Marcel Proust (che di Freud non conobbe che il nome) il giorno precedente all’uscita in libreria del primo volume della Recherche dichiarò che il suo narratore protagonista è je, ma un je qui n’est pas moi.
venerdì 15 ottobre 2004, ore 17.30
Parricidio e matricidio nella famiglia borghese
Freud ha detto in più di un’occasione che l’uccisione del padre è un destino comune a tutti gli uomini, iscritto nella memoria filogenetica dell’umanità e in quanto tale destinato a essere riesperito e riscoperto nella storia dei singoli. Quale che sia il valore che oggi possiamo attribuire all’antropologia freudiana, resta il fatto che la grande letteratura del primo Novecento pullula di matricidi e parricidi simbolici che rappresentano, sulla scena dell’immaginario, la crisi della famiglia borghese e la progressiva formazione di un nuovo stato civile dei personaggi.
sabato 16 ottobre 2004, ore 11
La fine dell’autore e le cattedrali impossibili
Si è parlato molto spesso di fine dell’autore o, se si preferisce, di fine del narratore: di inevitabile tramonto della grande figura di chi, con le sue parole e le sue storie, era capace di edificare un mondo, di costruire o almeno di progettare le grandi cattedrali che, nell’Ottocento, segnano – come ha osservato Giacomo Debenedetti – il trionfo della cultura e dello spirito borghese, del suo desiderio di ordine, di catalogazione razionale e di controllo. Quell’ordine non esiste più e le grandi opere dell’inizio del Novecento hanno spesso il carattere di frammenti, magari di giganteschi frammenti di edifici che non è stato possibile ultimare o che sono sfuggiti ai piani dei loro progettisti.