È il più considerevole manufatto architettonico di edilizia civile del Quattrocento a Urbino. L’organismo si distende su una superficie molto ampia che comprende l’ultimo tratto di Via Veterani e di via Budassi e la parte di via Valerio che unisce la stessa via Veterani a piazza Gherardi. La famiglia Passionei acquistò l’edificio dal Duca Federico, apportandogli alcune modifiche e accrescimenti. La casa passò dopo la metà del ‘500 alla famiglia Paciotti la quale, a sua volta, la ampliò e abbellì secondo il gusto dell’epoca. La struttura architettonica è stata poi comperata dall’Università, evitandole così il lento degrado al quale altrimenti sembrava essere destinata.
Molti sono gli elementi che permettono di ascrivere il manufatto alle maestranze del Palazzo Ducale. Nel vestibolo, per esempio, il portale di sinistra che immette nella piccola cappella: gli ornati (pilastri, capitelli compositi con conchiglia, architrave) replicano quelli già presenti nel Guardaroba dell’appartamento del duca Federico da Montefeltro. Un terzo portale del ‘500 introduce al sottoportico e quindi al cortile pensile che, secondo un modello caratteristico proprio dell’architettura urbinate, è aperto sul quarto lato verso il paesaggio. Questo spazio viene restituito dall’intervento dell’architetto Giancarlo De Carlo alla sua forma originaria, rimuovendo il tamponamento delle arcate che trasformava il sottoportico in una galleria. Sebbene questo portico sia stato nel tempo modificato dagli accrescimenti in altezza e nei corpi d’ala, tuttavia è ancora ben chiara la misura con la quale è stato costruito e tali proporzioni rivelano la mano di un architetto di altissimo valore. Le attribuzioni si muovono infatti tra le due figure di Luciano Laurana e di Francesco di Giorgio Martini.
Gli spazi vengono impiegati per accogliere i settantamila volumi della biblioteca di Carlo Bo donata all’Università. Il progetto di recupero di De Carlo consiste in un restauro sostanzialmente filologico: esterni ed interni vengono ripuliti, la distribuzione degli ambienti non viene alterata. Viene ripristinata la pavimentazione a formelle in un cotto secondo il disegno originale (che ripete fra l’altro quello del Palazzo Ducale), recuperando per quanto possibile le formelle autentiche. L’intervento sembra seguire le regole di uno scavo archeologico e il gesto architettonico si compie concretamente svelando il primitivo progetto, liberando gli ornati, sorprendendo infine ogni componente decorativa persino nella propria assenza (si vedano per esempio sulle pareti del sottoportico le tracce delle formelle circolari presumibilmente di Francesco di Giorgio Martino e oggi perdute).
Tra gli ambienti del primo piano si segnalano: il Salone collocato nell’ala settentrionale del palazzo e caratterizzato da un lungo fregio con la scritta “MANEAT DOMUS DONEC FORMICA AEQUOR BIBAT ET TESTUDO PERAMBULET ORBEM” (resti questa dimora, finché la formica continuerà a dissetarsi e la tartaruga a percorrer terre) alternata alle raffigurazioni in rilievo della formica e della tartaruga. Di fianco a questo locale è collocata una piccola stanza, un tempo affrescata, le cui porte dipinte nell’800 con la tecnica dell’impiallacciatura riecheggiano quelle intarsiate del Palazzo Ducale; sull’ala opposta si trova un altro ambiente con mensole binate e soffitto ligneo intagliato e dipinto assimilabile ad alcuni disegni del Martini. Al piano nobile, si trova infine una stanza affrescata con paesaggi. Nel sottotetto vengono invece ricavati, su più livelli, confortevoli ambienti di piccole dimensioni.
Gli elementi contemporanei si configurano essenzialmente nella progettazione di design. Discreti mobili d’arredo, quali porte in vetro, poltroncine e piccoli tavoli, trasformano i luoghi di vita quattrocentesca in silenziose sale di lettura, nelle quali l’ospite potrà trovare ristoro intellettuale tra le pagine di un romanzo o di una bella poesia.
da: Tiziana Fuligna, Una giornata con Giancarlo a Urbino visitando le sue architetture,
Comune di Urbino, Assessorato alla Cultura, 2001