Sainte-Beuve, uno scrittore ancora attuale

Portrait-of-Charles-Augustin-Sainte-BeuveQuesta volta parleremo di un libro insolito o per meglio dire di un libro che si ricorda raramente quando si fanno gli elenchi delle opere immortali: il Port-Royal di Sainte-Beuve. L’autore (1804-1869) non gode e non ha mai goduto la fama che merita e la ragione va cercata nella valutazione, più che dell’opera, dell’uomo, che forse non doveva essere simpatico. L’accusa maggiore che gli è sempre stata mossa è quella di essere stato invidioso e, per venire agli esempi, di non aver voluto rendere l’omaggio dovuto a un poeta come Charles Baudelaire (che fra l’altro lo considerava uno dei suoi maestri), di avere preferito un romanzo oggi del tutto dimenticato, Fanny, a un capolavoro come Madame Bovary, di avere denigrato Chateaubriand e, soprattutto, di avere votato una sorta di odio a Victor Hugo.
La verità è che con Victor Hugo c’era stata una questione di carattere intimo, avendone Sainte-Beuve amato la moglie Adele. Di conseguenza, se si devono muovere delle accuse, è sul fatto che ad amore finito il critico, nel suo Livre d’amour, fece dell’ex-amante un ritratto sgradevole, aggiungendovi anche una parte insopportabile di astio e di violenza spirituale, cosa che gli fu subito rimproverata e che è stata poi ripresa più per obbedire alla forza dei luoghi comuni che per spirito di verità. In realtà, l’autentico processo al nostro autore glielo fece Marcel Proust nel libro Contre Sainte-Beuve, e questo perché Proust non accettava il sistema di indagine psicologica usato dal critico e sosteneva che nell’uso che egli faceva del ritratto storico, nella cura della restituzione dell’ambiente e della formazione dello scrittore da lui preso in esame, si perdesse il fondo di verità che ogni scrittore sa esprimere al di fuori di queste motivazioni contingenti ed esterne. Ci sarebbe da discutere a lungo su questa limitazione, ma basti dire che non si può chiudere un grandissimo critico come Sainte-Beuve in una rete così particolare e in fondo troppo stretta e personale. Basterebbe pensare al Port-Royal per dovere spostare e allargare il discorso, nel senso che ci troviamo di fronte a un monumento di storia, di intelligenza critica, di sapienza psicologica: una cosa che non è riuscita più a nessuno. Gli eruditi che sono venuti dopo impallidiscono di fronte a questo libro che non è soltanto una ricapitolazione eccezionale del giansenismo, è soprattutto un’opera di creazione da mettere accanto ai capolavori della letteratura. Per realizzare questo lavoro, la cui occasione gli era stata offerta da una università svizzera che lo aveva invitato a tenere delle lezioni, Sainte-Beuve impiegò una ventina di anni, durante i quali elaborò l’opera con una mirabile pazienza di indagine. Infine, si tenga presente che il libro è molto di più della storia di un movimento religioso: esso, infatti, è in primo luogo la storia di un dramma interiore che Sainte-Beuve visse con profonda partecipazione. Ripercorrendo la cronaca dei giansenisti, egli non si mette mai in una posizione di distacco ma, in un certo senso, si perde nelle sollecitazioni e nelle proposte di quella famiglia spirituale.
…Port-Royal, insomma non lo aveva aiutato a vedere chiaro nel suo cuore, anzi lo aveva spinto verso quella che sarebbe in seguito diventata la sua religione: una religione tutta legata alle ragioni dell’uomo, priva cioè della luce di Dio…

— Carlo Bo 1989