Remo Bodei: Bellezza vaga

Bellezza vaga
Quattro lezioni magistrali

17-19 novembre 2005
Aula Magna del Rettorato
Via Saffi 2 Urbino

Prof. Remo Bodei
Ordinario di Storia della Filosofia
Università di Pisa

giovedì 17 novembre 2005, ore 17
Saluto del Magnifico Rettore dell’Università
degli Studi di Urbino “Carlo Bo”,
Presidente della Fondazione Carlo e Marise Bo
prof. Giovanni Bogliolo

Saluto del Direttore del Comitato scientifico
della Fondazione Carlo e Marise Bo
dott. Vittorio Bo

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 

giovedì, 17 novembre 2005, ore 17,30
Origine e significato dei concetti relativi alla bellezza vaga.

Mi propongo dapprima di stabilire la storia e il significato dei termini “vaghezza” e “vago”. La parola “vago” nasce dalla confluenza tra il latino vacuus (vuoto) e vagus (errante) ed indica, in genere, ciò che è irriducibile all’analisi, difficilmente classificabile e indeterminato. L’italiano vago e vaghezza sono però anche sinonimo di bello e di bellezza, in particolare di una bellezza non esattamente definibile e che muta luogo o tempo. Lo si può constatare, nella maniera più chiara, attraverso l’incipit della poesia Le ricordanze di Giacomo Leopardi: “Vaghe stelle dell’Orsa…”, dove la bellezza è appunto mobile, pur conservando la propria forma, al pari della costellazione dell’Orsa, che si sposta sulla volta celeste restando tuttavia sempre uguale a se stessa. Intrecciandosi con i concetti di chiaroscuro e sfumato, il termine passa all’ambito letterario e a quello musicale, dove finisce per predominare essendo la musica, da un lato, inesprimibile per concetti (forse perché c’è troppo da dire), dall’altro un’arte che si svolge nel tempo e quindi non fissabile in immagini ferme, come accade nella pittura o nella scultura.

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 

venerdì, 18 novembre 2005, ore 11
Dall’ideale di bellezza quale forma rigida e immobile al suo sfumare nell’indistinto, dalla calcolabilità del bello al “non so che”.

Ripercorrerò, in termini storici e teorici, la traiettoria che porta dalla bellezza rigida in forme perfette e calcolabili a quella del “non so che” e della mobilità. La prima formulazione filosofica dell’idea di bello nasce in Grecia, con la scuola Pitagorica, e rinvia a qualcosa caratterizzato dall’ordine, dalla misurabilità e dall’armonia delle parti rispetto al tutto. È difficile per noi associare l’idea di “bello” a quella di calcolabilità, ma basta ricordare, ancora oggi, la metrica in poesia o la musica, per capire cosa intendo. Questo modello arriva non solo fino al Luca Pacioli del trattato De divina proportione del 1509, che così profondamente ha segnato l’arte fiorentina del Rinascimento, ma anche fino a Keplero, che ancora considerava l’astronomia legata a proporzioni. Tale modello ha la caratteristica di essere legato alla forma chiusa, precisa: il rigore si paga mediante l’esclusione dall’arte di ciò che è indeterminato, vago non calcolabile, non misurabile. Esso entra in crisi, sostanzialmente tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento. Quando il gusto come senso interno, soggettivo, del contatto intimo, sostituisce la concezione della bellezza oggettiva, calcolabile dell’arte, si va verso l’idea di oggettivamente imponderabile sia per il fruitore, sia per il creatore dell’arte e del bello.
L’espressione “un certo non so che” – anch’essa ormai ridicolizzata -, ha conosciuto giorni migliori. Viene da Agostino, “nescio quid”, e diventa il “non so che” introdotto da Petrarca, grande ammiratore di Agostino, nella nostra cultura. Il “non so che” è importante perché pone l’accento proprio sull’elemento di incalcolabilità dell’opera d’arte, esige un elemento non programmabile in anticipo di creatività.

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 

venerdì, 18 novembre 2005, ore 17
Il sublime e le sue implicazioni.

L’altro elemento che trasforma la percezione del bello, spingendolo verso il vago, è legato alla riscoperta del sublime, a partire dal 1554, quando si pubblica a Basilea, dopo quasi un millennio di silenzio, il trattato dello Pseudo-Longino Del sublime. Ma il sublime moderno nasce, separandosi poi dal bello, nel momento in cui quest’ultimo perde il suo impatto, il suo choc. Da Burke o da Kant fino almeno a Leopardi, esso lascia al bello quelle caratteristiche rassicuranti che lo riportano alla sua etimologia latina di “bellus” quale contrazione di “bonolus”, abbastanza buono, ma non troppo, carino. Il bello è ciò che non turba, quindi nell’ambito del bello rientrano le tabacchiere, i mobili, i giardini all’italiana. Il sublime invece è ciò che rappresenta una minaccia. Sublime, da Burke in poi, è ciò che è privativo: il buio della notte, l’infinito, l’informe, quanto manca appunto di quei limiti che nella tradizione pitagorica erano tipici del bello. Sublime soprattutto, “regina di tutti i terrori”, è la morte. Sublime è fronteggiare la minaccia di autodistruzione che l’uomo prova confrontandosi col cielo stellato, altro famoso sublime, con l’infinità dei mondi e con le potenze scatenate della natura. Luoghi che prima erano aborriti, vulcani, deserti, Alpi, gole montuose entrano a far parte del paesaggio del sublime. Il sublime rappresenta una infinità o una potenza che minaccia l’uomo, il quale però, con una specie di revanscismo della sua natura umana, la contrasta.

– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – 

sabato, 19 novembre 2005, ore 11
“Vaghe stelle dell’Orsa”: il modello Leopardi

Le lezioni si concluderanno con il “modello Leopardi”, con l’esame della sua poetica, a partire dall’incipit della poesia Le ricordanze: “Vaghe stelle dell’Orsa…”, dove la bellezza è appunto mobile, pur conservando la propria forma, al pari della costellazione dell’Orsa, che si sposta sulla volta celeste restando tuttavia sempre uguale a se stessa.
L’errare, il vagare, il perdersi e il naufragare sono i tratti distintivi non solo dell’illusione, ma della bellezza nella sua non immobile forma. Menzionare le “vaghe stelle dell’Orsa” o “il pastore errante” conferma l’ipotesi che questi sistemi di immagini costituiscono, insieme e inseparabilmente, la cangiante fisionomia della bellezza e dell’indefinito. Se si preferisce: della bellezza in quanto nomadico vagare nell’indistinzione dello “spazio immaginario” che si genera dal tagliente bordo dei limiti e dalla rete non chiusa dei rinvii tra il determinato e l’indeterminato. In questo senso, entro l’ambito dell’immaginazione, la poesia è appunto quella che desta emozioni vivissime, riempendo l’animo di idee vaghe e indefinite proprio a partire da ciò che è preciso, definito.

— Remo Bodei

Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Segreteria
Palazzo Passionei Paciotti
61029 Urbino (PU) Via Valerio 9
tel. 0722.305680 e 0722.305343
fax 0722.305347
e-mail: info@fondazionebo.it

Biblioteca della Fondazione Carlo e Marise Bo
Palazzo Passionei Paciotti
61029 Urbino (PU) Via Valerio 9
tel.0722.305681
fax 0722.305686
e-mail:biblioteca@fondazionebo.it

Accoglienza a Urbino
I.A.T. (Informazioni Accoglienza Turistica)
61029 Urbino (PU) P. Rinascimento 1,
tel. 0722.2613

Informazioni su Urbino
Borgo Mercatale
Rampa Francesco di Giorgio Martini
tel. 0722.2631